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Alcuni giorni dopo, attraversarono un luogo desolato, dove gli alberi erano per la maggior parte morti da tempo o erano stati sradicati. Sul terreno, era tracciato un sentiero, forse i resti di una strada abbandonata molto tempo prima. Era un luogo spettrale, silenzioso. E le tracce lasciate dal loro amico orso erano evidenti. C’erano orme enormi sul sentiero, resti di peli bruni accanto agli alberi, ossa di animali.
Fortunatamente non durò molto. Ben presto rientrarono nella foresta. Il sentiero continuava, anche se era in parte coperto da aghi di pino, foglie e rami. Cominciarono gradualmente a salire e quando Esther guardò dietro di sé vide che la foresta scendeva in una serie di piccoli gradini.
Ad un certo punto, Marina tirò le redini di Silver e si fermò. Valerio, sorpreso dal gesto, rischiò di finirle addosso con il suo destriero.
- Che diamine - protestò. - Non potresti avvertire? -
Marina si era fermata e scrutava nel groviglio di vegetazione alla sua sinistra.
- Che cosa c’è? - domandò Laura, seguendo lo sguardo di Marina.
- C’è un modo per scoprirlo - disse Marina. - Andiamo a vedere tutti assieme -
Mentre smontavano da cavallo, Esther cercò con lo sguardo nel bosco. Capì dopo un attimo che cosa aveva attirato l’attenzione di Marina. Una lastra grigia nascosta da edere rampicanti.
- E’ un segnale? - domandò Valerio, vedendo la lastra a sua volta.
- Sì. Datemi il coltello - rispose Marina.
Armand glielo passò. Marina tagliò tutti i rampicanti. Pian piano lettere scolpite nella pietra, lettere della Lingua Eccelsa, emersero dall’intrico di rampicanti.
PELLEGRINI, LAGGIU’ C’E’ IL FINE MONDO.
Regnò il silenzio per alcuni minuti.
- Che cosa significa? - chiese Esther, sfiorando le lettere con la punta delle dita.
- Che siamo vicini alla fine di questa fase. - L’espressione di Marina era solenne e misteriosa mentre ridava il coltello ad Armand. - Presto il bosco finirà -
- Quanto può essere lontana Dis a questo punto? - chiese Natasha.
- Non così tanto. E quando ci arriveremo dovremo stare in guardia. Ormai è una città in rovina. Forse disabitata, ma forse no. Nessuno lo sa con certezza -
Di nuovo silenzio. Qualcosa si mosse fra le piante e spostò i cespugli. I pistoleri estrassero le pistole istintivamente. Uno strano animale sbucò dall’ombra e guardò con i suoi occhi neri cerchiati d’oro il gruppo di Marina. La sua pelliccia era a strisce bianche e nere, un po’ spelacchiata. La lingua rosa penzolava fuori dalla bocca piena di dentini bianchi e appuntiti.
- Cos’è? - domandò Esther.
- Un bimbolo - rispose Marina.
- Imbolo! - disse la creatura ed indietreggiò di parecchi passi.
Esther trasalì, colta alla sprovvista. - Parla? -
- Non proprio. Ripete quello che sente. Erano anni che non ne sentivo uno parlare -
Un’altra di quelle creature sbucò da dietro i cespugli. Era grigio con delle macchie marroni, ma gli occhi erano gli stessi. Neri e cerchiati d’oro. Poi si ritirò nella boscaglia. L’altro bimbolo aprì la bocca, mostrò i denti e poi latrò. Infine si ritirò con il compagno. Forse appartenevano ad un branco.
- Una volta erano come i cani domestici. Non erano utilissimi, però tenevano alla larga i topi. E facevano divertire i bambini - spiegò Marina. - Sanno essere molto fedeli -
- E alcuni li mangiano pure - aggiunse Valerio.
- Valerio... - iniziò Laura.
- Scusate. Non ho detto che io me li mangerei. Ho detto che qualcuno sostiene che sono buoni da mangiare... -
Nel pomeriggio il cielo era coperto di nubi grigie. Il sole scomparve dietro di esse. A sud est, sulla linea dell’orizzonte scorsero il profilo di una città. Era distante ancora parecchie miglia, ma i contorni degli edifici, alti e sottili, probabilmente in rovina, erano visibili attraverso la nebbiolina grigia.
Dis. Non poteva che essere Dis. La città che conservava la sfera bianca.
Alla loro sinistra, si snodava l’ampio nastro del fiume Whye. Sul corso d’acqua volteggiavano stormi di uccelli, che spesso spiegavano le ali e si gettavano giù in picchiata per pescare.
C’erano delle costruzioni qui e là, davanti a loro. Piccole catapecchie diroccate o fattorie abbandonate. Alcune rase al suolo da qualche azione violenta. Nella prateria pascolavano animali dal pelo lungo, alcuni dei quali erano evidentemente mutanti, perché avevano strane gobbe sulla schiena, un occhio in più al centro della fronte oppure due teste anziché una.
- Mutanti, sì - osservò Marina.
- Laggiù? Ci saranno mutanti anche laggiù o... - cominciò Armand, indicando la città lontana.
Marina si strinse nelle spalle. - Non te lo so dire. -
- La gente di queste fattorie... - disse Esther. - Saranno scappati? Magari verso la città? -
- Può essere. Non ci sono corpi, almeno non sento odore di putrefazione o simile. Quindi o sono stati portati via o sono andati verso la città -
- Qualcuno è ancora in giro - disse Natasha, anche se sembrava che parlasse più a se stessa che ai compagni. - Siamo osservati. Lo sento -
- Lo so. Ma credo che ad osservarci non siano affatto gli ex abitanti di questo luogo - rispose Marina.
Natasha non rispose.
- Chi è? Di che cosa parlate? - domandò Esther, allarmata. Ma lo sapeva benissimo, in realtà. Non perché avesse percepito qualcosa, ma perché Natasha era una strega e le streghe percepiscono il potere della magia quando è vicino.
- La nostra amichetta è dietro di noi, vero? - osservò Valerio.
- Come fate a sapere che c’è? - chiese Armand.
- Il suo potere sta crescendo. Non è ancora al massimo, ma cresce - osservò Natasha.
Esther strinse di più le braccia intorno alla vita di Marina. Un gelo improvviso le invase le ossa. - Ma se è davvero dietro di noi, perché non ci ha ancora attaccati? -
- Non è ancora pronta a farlo - disse Marina. - Probabilmente lo farà solo quando avremo raggiunto la Torre -
- Quanto è vicina? - domandò Armand, toccando istintivamente la croce che pendeva sul petto.
- Non così vicina da poter sentire la nostra conversazione. Ma indubbiamente ci osserva. E non ci perderà, anche se dovessimo andare più veloci, perché avverte il potere delle sfere -
Come se volesse dire la sua a riguardo, uno delle sfere nelle sacche iniziò a ronzare.
Qualche ora più tardi, Marina ordinò di fermarsi e disse di stare pronti.
- Per cosa? - chiese Esther.
- Qualsiasi cosa -
Si erano fermati in un punto dove il sentiero che avevano trovato nel bosco giungeva in cima ad un dosso che correva in diagonale per la pianura. Sotto di loro la strada attraversava il primo insediamento umano che avessero visto dopo Calla Bryn Sturgis. A prima vista sembrava deserto, ma qualcosa diceva loro che non lo era. Il Whye poco più a est si intersecava con un altro fiume, il Siento.
Marina prese la pistola, la aprì e controllò che fosse carica. Poi la richiuse e la ripose nella fondina.
- Ascoltate - disse poi. - Se ci sono delle persone laggiù, saranno anche spaventate, perché da qui è passato qualcuno tempo fa. La maggior parte di loro saranno anziane, i giovani se ne saranno andati da molto o saranno stati portati via. Non credo che qui ci siano armi da fuoco, ma non fate mosse minacciose. Parlate solo se siete invitati a farlo -
- E se avessero delle lance? Oppure archi e frecce? - domandò Armand.
- Forse. Qualche pericolo c’è sempre. Ma non saremo noi a dare inizio alle ostilità -
Annuirono tutti.
- Potremmo girare al largo - osservò Natasha, guardando il gruppo di costruzioni in legno.
- No. Deviare ci costringerebbe ad allontanarci dal corso del fiume e quindi dal sentiero del Vettore. E’ una pessima idea. E potrebbe portarci ulteriori problemi -
Natasha annuì.
- Potrebbero anche non venire fuori vedendo le nostre pistole - disse Laura.
- Credo che vedranno che tipo di pistole sono. E capiranno. Soprattutto se sono molto anziani. -
Scesero dal dosso verso il villaggio.
Tre o quattro edifici dell’agglomerato erano stati bruciati. Il resto era intatto o quasi. Oltrepassarono una stalla per cavalli sulla sinistra, una casupola che forse era stata una rimessa o un magazzino, e si trovarono nel centro vero e proprio. Sui due lati della strada ci saranno state una decina di case malandate. Ogni tanto si apriva un vicolo da una parte o dall’altra. Da qualche parte cigolava un cardine arrugginito. Una volta, c’erano marciapiedi di legno, ma molte assi non c’erano più e lì in quei solchi cresceva l’erba. Le insegne erano scolorite. Una penzolava tristemente. C’era anche un piccolo saloon, con i battenti semi-scardinati all’ingresso.
- C’è gente? - bisbigliò Esther.
Marina annuì.
C’era una chiesa con un campanile sbilenco, una casa alta tre piani, un edificio con la scritta QUI SI MANGIA E SI BEVE. Un altro con la scritta OSTELLO. Marina alzò lo sguardo ad una delle finestre e scorse una faccia bianca che si nascondeva dietro la tendina. Assunsero un’andatura lenta.
All’incrocio due strade si allargavano dando origine ad una piazza invasa dalle erbacce. Lì le case erano ammassate l’una sull’altra, dai colori che una volta dovevano essere sgargianti, ma ora erano sbiaditi, desolati. Al centro della piazza c’era una roccia corrosa. Sopra un’insegna in legno posta su un palo arrugginito. C’era scritto qualcosa. Marina si avvicinò cautamente, smontò dal cavallo e si chinò per leggere l’insegna.
KOT
(CENTOSESSANTA RUOTE PER DIS)
- Ruote? - Armand era perplesso.
- Un’antica unità di misura -
- Come i chilometri, quindi -
- Già -
- Hai mai sentito nominare questo Kot? -
Marina scosse la testa. - No. -
- Io sì - intervenne Natasha. Tutti si girarono a guardarla. Era improvvisamente pallida, quasi trasparente. - La sfera blu me l’ha mostrato. Ci veniva... ci veniva mia madre... molto tempo fa. C’era un mercato da queste parti... il villaggio dove sono nata è poco lontano da qui -
Marina annuì comprensiva.
All’angolo sudovest della piazza, c’era un edificio in pietra, un cubo grigio e tozzo, con sbarre alle finestre. L’ufficio dello sceriffo forse con annessa prigione. Sulla parete qualcuno aveva disegnato un occhio. L’occhio di un falco.
- Eric. - osservò Valerio. - C’era da aspettarselo. -
- Questo posto mi da i brividi - disse Esther.
- Abbiamo compagnia - disse Marina, indicando l’edificio che poteva essere stato una prigione. Ne erano usciti un uomo e una donna.
- Sono più vecchi di Matusalemme, in effetti - osservò Armand. Lo fissarono con occhiate interrogative. - Lasciate perdere -
L’uomo indossava una tuta con pettorina e un cappello che assomigliava ad un sombrero. La donna che gli camminava al fianco indossava un lungo vestito di tela bianca e blu e gli serrava la mano sulla spalla cotta dal sole. Videro che le mancava un occhio, il destro. Al suo posto c’era un avvallamento di tessuto cicatrizzato.
- Sono... mercenari? O masnadieri? - domandò lei, confusa. - Ci ammazzeranno? -
- Taci, Lydia. - la rimbeccò il vecchio, scostandosi ciocche di capelli bianchi dalla fronte. - Hanno delle armi, ma sono armi pregiate. Non da masnadieri. E poi solo tre hanno le pistole, non vedi? Ti funziona male anche l’occhio buono? -
- Non abbiamo cattive intenzioni - disse Marina. Lo disse nella Lingua Antica, quella Eccelsa. Al suono di quelle parole gli occhi castani del vecchio si dilatarono per l’incredulità.
- E’ una pistola con il calcio in legno di sandalo... - mormorò la donna. - Siete pistoleri? -
L’uomo, che si presentò dicendo di chiamarsi San, si tolse il sombrero e se lo appoggiò sul petto. - Sì, Lydia. Pistoleri. Vedo le pistole. Tre di loro sono pistoleri - Sorrise, mettendo in mostra una fila di denti gialli. - Benvenuti! Benvenuti davvero... pistoleri... -
- Grazie del benvenuto - rispose Marina, abbandonando la Lingua Eccelsa. - Rimettiti pure il tuo copricapo. Non servono atti di cortesia -
Lui ubbidì e si calcò il sombrero sulla testa. - Sì, sì... pistoleri. Lo dicevo io, Lydia. Lo dicevo che non erano scomparsi -
Marina estrasse la sua pistola dalla fondina e la mostrò, tenendola per la canna. I due annuirono.
Altre persone stavano arrivando. Erano tutti vecchi e fra loro una donna avanzava aiutandosi con un bastone ritorto. Sembrava anche più vecchia dei due che avevano di fronte. I due uomini che le camminavano accanto erano gemelli identici, con i capelli bianchi lunghi fino alle spalle, il viso già coperto di rughe e gli occhi celesti.
La vecchia col bastone era certamente il capo. Giunse al cospetto di Marina e del suo gruppo. Fissò i nuovi arrivati con occhi verde smeraldo. Abbassò lo sguardo alle pistole nelle fondine. Sorrise. La bocca era quasi completamente sdentata. - Salute a voi! Ben arrivati - disse. Parlò nella Lingua Eccelsa. - Benvenuti a Kot. O a quel che di Kot rimane -
- Grazie. - rispose Marina, guardando i due uomini. Il resto del drappello era formato da persone sufficientemente avanti con gli anni, ma nessuno sembrava vecchio quanto quella donna.
- Il mio nome è Altea. Siete in missione? - chiese la vecchia.
- Sì - rispose Marina, ma senza aggiungere altro.
- Dove siete diretti? -
- A Dis -
Tutti indietreggiarono spaventati. La vecchia scosse la testa. - Mi dispiace sentirtelo dire. A Dis accadono brutte cose. Cose orribili. -
- Ne abbiamo affrontate molte, di cose orribili - disse pazientemente Marina. - Io mi chiamo Marina. Marina Ranieri. Veniamo dall’Entro Mondo -
- Certo, certo. La terra dei pistoleri. - annuì Altea. - E’ tanto che non vediamo pistoleri. Io mi ricordo gli ultimi che passarono di qui, ma è accaduto moltissimo tempo fa. I miei figli non se lo ricordano, e anche loro non sono così giovani - Indicò i due uomini gemelli. - Vorrete fermarvi e cenare con noi, pistoleri? Vi daremo ospitalità e tutto ciò che vi serve... non è forse vero? -
Gli altri annuirono.
- Volentieri resteremo, Altea. Non possiamo trattenerci a lungo, ma sì. Ceneremo con voi con molto piacere -
Altea sollevò il bastone in aria e si rivolse agli altri. - Guardate bene. La ruota del Ka ha ripreso a girare. I pistoleri esistono ancora quindi questo mondo ha una speranza. Ben vengano i pistoleri nel nostro povero villaggio. Accoglieteli come si vede. Se beccherò qualcuno di voi a comportarsi male, lo prenderò a bastonate. Sono stata chiara? -